Mercoledì 3 aprile 2013, muore all’ospedale di Mantova Christian Ubiali, 31 anni di Osio Sotto.
Il ragazzo, detenuto presso l’OPG di Castiglione delle Stiviere, era stato ricoverato 3 ore prima per degli accertamenti medici relativi ad un disturbo gastrointestinale, manifestatosi dopo aver consumato la cena nel penitenziario. Con lui, altre 70 persone hanno lamentato disturbi analoghi (12 di queste anche in modo acuto), in seguito attribuibili proprio alla probabile contaminazione del cibo. Un attacco batterico attraverso il pesce avariato. Parafrasando, la democrazia ha ucciso ancora e ha tentato di avvelenare 1 quarto dei detenuti in una sua struttura.
Verrebbe da chiedersi come mai si muore ancora in un’istituzione che per legge non dovrebbe esistere più, o meglio dovrebbe essere sostituita da un’altra di competenza esclusivamente psichiatrica (questo ovviamente non ci renderebbe più tranquilli). Oppure perché in una struttura pubblica, che esprime il potere giuridico e psichiatrico, deputata dunque ad educare e riabilitare, si muore o si viene avvelenati.
La risposta è implicita, nella proposta di legge per la chiusura degli OPG e nei valori che l’hanno ispirata. Fintanto che ciò che indigna l’opinione pubblica è la spettacolarizzazione dell’incuria degli ambienti, o la violenza, più o meno tollerata, con cui normalmente si esprime il personale, difficilmente si riuscirà ad ottenere una messa in discussione generale dei principi che ispirano il carcere e la psichiatria. Dopotutto, la nascita dei manicomi, storicamente si inserisce in una spinta volta all’emancipazione da una condizione di reclusione e deprivazione dei detenuti.
La psichiatria ed il carcere, sono la cifra che si paga per l’imbarazzo, che la morale e i costumi correnti esprimono di fronte a ciò che non comprendono e non sono in grado di definire, di governare.
Ciò che avviene quotidianamente in un quadro istituzionale, per un utente dei servizi di salute mentale, è l’esclusione da ogni forma di partecipazione alla vita pubblica e nelle questioni che riguardano la propria vita, è l’imposizione di accettare la propria condizione di malato e di conformarsi ai costumi che attengono a questo stigma.
È la morte sociale e l’anticamera per un’ eliminazione anche fisica. L’approccio psichiatrico, sia a livello culturale che al lato pratico, è un sistema di amministrazione del vivente e di conservazione degli assetti di potere, che pervadono ogni istituzione. Se non si va oltre la compartimentazione dei saperi e la messa in discussione della “presa in carico”, non si può cogliere il condizionamento che la psichiatria esprime sui nostri pensieri, sulle nostre abitudini, oltre al pregiudizio che riafferma in ogni sua forma e ricostituzione.
Intervenire ora, può sembrare contraddittorio rispetto a quanto scritto, poiché appare come una risposta ad un fatto “grave”. Intervenire solo quando avviene un omicidio o quando ci sono “abusi” evidenti, rischia di coglierne solo gli aspetti marginali. Ragion per cui, ci si augura che questo odioso episodio, possa far nascere dall’indignazione, la lotta. Una lotta capace di accompagnare tutte quelle persone che non si piegano ai dispositivi psichiatrici che aggrediscono la loro libertà, che lottano per la dignità della propria condizione sociale. Una lotta capace di svelare a tutti i livelli la falsa neutralità della scienza e la dimensione eminentemente politica della psichiatria.
Chiediamo a tutte le persone e alle realtà interessate a questo tema di mobilitarsi.
Chiediamo di gridare pubblicamente la propria rabbia fin sotto ai cancelli e denunciare la complicità di cui si avvale il potere giuridico, medico e psichiatrico. Affinché un altro ragazzo, non sia morto invano..non aspettiamo che un’altra persona esca in una bara da una struttura pubblica.
-collettivo antipsichiatrico bg-