Il benessere sociale, quale caposaldo della cultura umana moderna, è tematica passata in secondo piano nel dibattito politico italiano. Si parla tanto di governabilità e di ampiezza dei consensi elettorali, di come meglio esercitare il potere acquisito, di quanto sia importante far sentire la distanza che i potenti di fatto esercitano sui sudditi deleganti; si cerca quindi, con molto affanno, di parlare di sviluppo e di crescita economica e di misurare le poche effettuate scelte politiche, condizionati dagli obblighi indotti dal mercato globale. Quanto si sia resa indisponibile l’urgenza e l’importanza di eleggere a fondamento dell’agire politico il benessere sociale, inteso in termini di elevazione della qualità della vita sia individuale che collettiva, la si misura dall’involuzione orgiastica e dedita al culto di Creso della democrazia italiana e dalla irreversibile decadenza culturale imboccata dalla società italiana.
E’ bene tenere separato il concetto di benessere sociale da quello di sviluppo economico, che, seppur condizionanti e correlati in una certa misura, rappresentano due ordini diversi di problematiche e di aspettative. La confusione dei concetti reca intrinseci paradossi come di fronte a cui, ad esempio, si sono trovati i dipendenti di Mirafiori che in nome di un presunto sviluppo in termini economici si sono visti ridurre la qualità delle propria azione lavorativa e della propria vita individuale, con la benedizione di tutti coloro che mai affronteranno la stessa entità di sacrifici. L’appello al sacrificio è un’altra spinosa questione, evangelicamente posta dalla classe padronale, per affrancare il lavoratore dipendente da ogni dubbio: fa come ti dico e taci!
Il ricorso alla ineluttabilità della insufficienza delle risorse è una mistificazione di un regime colonizzato da bande lobbistiche e da coaguli di sostanza organica, nominati ministri. Quanto mal di pancia procura il semplice riferimento a una equa distribuzione delle risorse, è cosa nota. Il delirio di onnipotenza è, poi, coscientemente perseguito quando si esalta la competizione e la meritocrazia, con quanta foga brillantina sono auspicate selezione e severità (che riguardi, naturalmente, solo i figli degli altri!), cosa molto singolare in un paese che annovera tradizioni corporativistiche e legislazioni poste a garanzia della perpetuazione generazionale di privilegi acquisiti dai bisnonni (capitolo: concessioni statali).
Il miglioramento, capillare e sostanziale, delle condizioni di vita è un impulso dinamico fondamentale per la coesione sociale e per i rapporti di reciproca interferenza tra il singolo individuo e lo spazio circostante. Certo è che le condizioni di salariati, precari e disoccupati, sui i quali è strutturata l’economia del profitto e dello sfruttamento, relativizzano molto i parametri per misurare la qualità della vita individuale e collettiva. Ma alcuni obiettivi sono fondamentali e non vanno mai dimenticati. La massima diffusione della conoscenza umanistica e scientifica per la più vasta quota di popolazione deve rappresentare uno sforzo continuo e irreversibile. La cancellazione dei bisogni materiali fondamentali deve essere perseguita in ogni aggregato sociale, al di là di ogni legame di etnia, di sesso o di cultura. L’accesso alla educazione, alla salute, al diritto di mobilità qualificano il concetto di benessere sociale. L’emancipazione anti-autoritaria sia individuale che collettiva, in nome delle coscienze e delle responsabilità individuali, rappresenti, quindi, lo sbocco naturale e significativo dell’avventura umana, di cui siamo tutti partecipi.
Amato Rizzo
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