Da 90 giorni in tenda: «La gente ci fa anche la spesa. Un barista passa alla domenica mattina e ci lascia le brioche».
Arance e Barbera in tavola, alla parete di tela il poster di una celebre foto di Charles C. Ebbets, quella con i muratori che pranzano sulla trave sospesa nel vuoto di un grattacielo di New York in costruzione («Lunch atop a Skyscraper»), due stufette elettriche e l’immancabile mazzo di carte, che le notti possono essere eterne quando in gioco c’è il lavoro. Il gazebo prestato a fortino di protesta è diviso in due: «Di qua la cucina e di là il salotto – scherza Ivan Bonazzi, 34 anni, dipendente Fiber e Rappresentante sindacale interno -. Per dormire, soprattutto quest’inverno, ci hanno donato temporaneamente un camper, quello parcheggiato qui fuori». Ieri hanno «festeggiato» i primi tre mesi di presidio. Novanta giorni, ventiquattro ore su ventiquattro, sabato e domenica compresi, per i 51 dipendenti Fiber che hanno deciso di lottare, sostenuti dalla Fiom-Cgil, contro la decisione dell’azienda, annunciata a fine 2011, di delocalizzare in Romania. Da allora ogni due ore due lavoratori interrompono l’attività e si spostano al presidio davanti all’azienda, lungo la provinciale tra Treviglio e Arcene, finché non arrivano due colleghi a dare il cambio. Nuove speranze si sono accese in questi giorni, con l’apertura del concordato preventivo: ci sarebbero cinque imprenditori che si sono dichiarati interessati a rilevare i beni aziendali.
Ma al di là dell’epilogo sul piano economico-amministrativo, la lotta dei lavoratori Fiber racconta di una popolazione che ha tirato fuori tutta la solidarietà possibile nonostante la fase di «congiunture avverse»: «Le bandiere rosse di protesta fuori dai cancelli hanno fatto da catalizzatori di solidarietà – racconta Loredana Cornelli, «di guardia» ieri pomeriggio -. C’è chi passa una volta, due volte e alla terza si fa coraggio, si ferma e ci lascia un paio di buste della spesa. Arrivano in bicicletta da Treviglio, da Arcene, da Castel Rozzone, ci portano salami, frutta, qualche bottiglia. Di tutto». A Pasqua è arrivata anche la colomba: «Una signora è passata – dice Edda Andreano, che di presidi notturni ne ha fatti tanti e qualche volta si è portata pure la famiglia, il figlio di 14 anni e il compagno – e ci ha lasciato un paio di colombe e una bottiglia di spumante». Qualcuno porta quello che produce: «Il caseificio qui vicino ci regala forme di formaggio; un barista arriva il sabato e la domenica mattina e ci porta le brioche fresche; c’è chi passa di qua tutte le mattine per andare a lavorare e alla fine decide di fermarsi, ci chiede come va, poi torna e ci porta qualcosa». Anche il Comune di Arcene si è attivato da subito fornendo la tenda e le attrezzature necessarie, mentre Rifondazione Comunista con i circoli locali ha organizzato una raccolta fondi.
Intanto la protesta permanente sembra abbia portato a qualcosa, mentre l’azienda che a dicembre aveva comunicato l’intenzione di trasferire la produzione «per ridurre i costi insostenibili» nelle ultime settimane ha aumentato del 30% il monte ore per la chiusura di uno stabilimento svizzero. In attesa delle offerte degli imprenditori interessati, gli operai sono compatti: «Vogliamo – dicono – solo un nuovo proprietario che creda nell’azienda».