Il 2013, stando alle fonti giornalistiche, si ricorderà nella provincia bergamasca, come l’anno del rilancio della piccola e media impresa, dell’artigianato e del commercio, tradizionalmente considerati i settori trainanti del comparto economico ed occupazionale locale. Restando sul termine tradizione, che in ambito economico è sinonimo di garanzia e tipicità, dunque un plusvalore, e si prova ad analizzare la linea editoriale promossa dall’Eco di Bergamo, si riscontrerà un utilizzo puntuale di questo termine, ogni volta che la testata affronta temi d’iniziativa economica locale. Un vero mantra. Una ventata d’ottimismo opposto alla crisi, nemico e spauracchio da sconfiggere con le armi che si hanno a disposizione: la oia de laorà..così tipica, ma soprattutto il fatalismo e l’obbedienza che, l’altrettanto tipica filosofia del pota ben sintetizza. Dunque, un presunto valore che si salda alla rappresentazione di altrettanti presunti tratti identitari.
In due parole, la fortuna del leghismo.
Ora, analizzando più realisticamente i fatti, con altri filtri e contemporaneamente assumendo le esperienze vissute come fonti, viene da chiedersi cosa resta di tipico, in un territorio che è ormai per buona parte dipendente materialmente, energeticamente e dal punto di vista dei servizi. Sicuramente la stupidità e..forse poco più.
La storia recente ci suggerisce che la speculazione edilizia, la cementificazione ha rappresentato la costante dello sviluppo locale, pertanto il territorio è ormai avvelenato dallo sfruttamento antropico. Inoltre una progettazione a senso unico, niente affatto dinamica ed innovativa, non può certo aver favorito il proliferare di risorse creative e competenze.
Con buona pace per le vetrine di Expo 2015 e per la sua retorica localista.
Ad esser sinceri però, rispetto a qualcosa la provincia di Bergamo, può considerarsi virtuosa. C’è un settore in espansione che rende autosufficiente Bergamo, riguardo a quello che è considerato un “bene di consumo”. Un grosso giro d’affari, che però sul piano economico ha una contraddizione: gli utili si concentrano nelle mani di pochissimi. Inoltre sul piano etico ha un enorme prezzo da pagare in termini di vite: 250.000, se si considera il dato nazionale. Questo falso bene di consumo in realtà ha un’anima, ma questo all’uomo non interessa, poiché ciò a cui mira è il suo corpo, la sua pelle precisamente. Perciò se ne appropria, lo snatura, gli toglie la vita per trasformarlo in oggetto per la vanità di “innocenti” aspiranti modelle/i. Dunque, ciò che in realtà è un lager per visoni, diventa magicamente un allevamento di animali da pelliccia, così come un brandello di pelo di un animale morto, diventa un capo d’abbigliamento per gente affermata. La provincia di Bergamo può “vantare” l’intera filiera del processo produttivo dell’industria della pelliccia sul proprio territorio. Dalla gabbia alla vetrina, passando attraverso i laboratori di smontaggio ed assemblaggio. Ogni singolo segmento del processo, è stato opportunamente e meticolosamente confezionato dall’Eco di Bergamo, con il “pacco” della tradizione. Ovviamente da sempre macchiata di sangue.
Cosicché, si fa chiamare tradizione, il convertire allevamenti bovini in allevamenti di visoni, come afferma Legramandi (titolare di un allevamento a Misano Gera d’Adda) sulle pagine dell’Eco. E’ tradizione assemblare pellicce per le grandi marche, come afferma sempre sull’Eco del 26 agosto Carlo Gritti (titolare di una ditta che lavora pellami e pellicce a Cenate Sotto, grazie alla quale dichiara di fatturare oltre un milione di euro). E’ tradizione pure quella dei bottegai, i quali in nome proprio (per es. la pellicceria Pagano, che da settembre si trasferisce in via S.Orsola), piuttosto che in franchising (Max Mara…), presentano l’ultimo anello di una catena che se fosse interamente mostrata, avrebbe presumibilmente i giorni contati. Invece, attraverso l’Eco di Bergamo Boccù (che si occupa di macellazione e riproduzione di visoni, nonché promoter di questo modello) si può permettere di parlare di benessere animale, senza apparire ridicolo, farneticando intorno ad improbabili metodi “più umani” d’uccisione, piuttosto che a gabbie più grandi e “rispettose” delle esigenze dell’animale e della legge. Ed ancora attraverso l’Eco, sempre Gritti parla di un impegno volto ad un incremento della popolarità del sintetico (oggi solo il 10% della sua produzione) nel mondo della moda e tra i consumatori…Veramente molto innovativi!!!
Ciò che ci si augura anche di realizzare, attraverso le pagine dell’Eco di Bergamo, relativamente al 2013, che qualcuno/a rispetto a quanto sopra, non sia stato/a immobile a guardare. Qualcuno/a che si sia sentito/a animale e abbia deciso di mobilitarsi per distruggere tutte le gabbie. Comprese le proprie.
RESTIAMO ANIMALI!