Volantino distribuito al corteo del 25 aprile a Bergamo.
Quest’anno non si può essere in piazza il 25 aprile senza ricordare che anche l’Italia è in guerra.
Al fronte Afgano operativo ormai da diversi anni si è aggiunta infatti la guerra umanitaria in Libia: un intervento militare dettato da semplici quanto disgustosi interessi economici ed esplicite mire di controllo geopolitico. Una missione “liberatrice” condotta dalla NATO in cui l’Italia non ha esitato ad accodarsi, mettendo a disposizione basi, aerei, uomini.
Ad una guerra esterna portata avanti con bombe ed occupazioni militari corrisponde un fronte interno fatto di militarizzazione delle città, rastrellamenti di migranti, precarizzazione delle vite ed aumento degli squilibri sociali. I soldati pattugliano le strade e i così detti “obbiettivi sensibili” (CIE, ambasciate, piazze). Territori interi vengono dichiarati zone militari di interesse strategico (siti per discariche, centrali nucleari, cantieri TAV) per impedire qualsiasi forma di protesta. Schedature genetiche e delle impronte, videosorveglianza sono ormai parte della quotidianità.
A fianco di chi si rivolta nelle “strutture di accoglienza”. I profughi, concentrati in strutture controllate militarmente (in gran parte ex caserme), continuano a rivoltarsi contro i propri aguzzini, ovvero gli enti che gestiscono le nuove tendopoli e i CIE (croce rossa, protezione civile, misericordia…).
A fianco di chi insorge e resiste contro la pacificazione sociale finalizzata al controllo economico e politico del Nord Africa e non solo.
Siamo in tempi di crisi e i padroni non hanno più nulla da offrire: peggioramento delle condizioni di vita, delle condizioni lavorative, minacce ricatti.
Sembrano discorsi astratti, ideologici, lontani dalla vita quotidiana? Eppure per accorgersi di come sia il mondo in cui viviamo non c’è bisogno di essere dei sovversivi: dalla minaccia nucleare che incombe alla guerra d’occupazione in Libia, sul fronte esterno; dalla militarizzazione imperante alla reclusione dei migranti passando da licenziamenti e sfruttamento, sul fronte interno.
La quotidiana catastrofe della società del profitto viene subita da tutti. I responsabili di tutto questo sono qui. Ci sono nomi precisi dietro gli interessi italiani in Libia (ENI, FINMECCANICA, UNICREDIT).
Restare in silenzio di fronte a questa guerra permanente, portata avanti all’esterno e all’interno, significa esserne complici, collaboratori coscienti ma indifferenti. Perchè quel che succede è sotto gli occhi di tutti. E allora sta a noi organizzarci e metterci in gioco in prima persona.
TERRORISTA È CHI RINCHIUDE NELLE CARCERI E NEI CIE, CHI DEPORTA GLI IMMIGRATI, CHI SFRUTTA I LAVORATORI E DEVASTA IL PIANETA, CHI BOMBARDA PER IL PROPRIO PROFITTO, NON CHI CONTRO TUTTO CIÒ COMBATTE!
Anarchiche/ci Bergamaschi