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Lo sgombero della Cascina di via Ponchia a Bergamo

Martedì 6 ottobre uno spiegamento di un centinaio di agenti di vari corpi di polizia, con una quindicina fra blindati ed auto, hanno circondato la Cascina vuota, poi degli operai hanno murato varie entrate dello stabile, che dal 2013 era usufruito come spazio autogestito da giovani, da noi anarchici e da molte altre realtà sociali che avevano deciso di utilizzare questo ex asilo, che il Comune, proprietario, aveva lasciato colpevolmente degradarsi. Siamo proprio in un mondo che va al contrario: coloro che mal gestiscono i beni pubblici o volevano svendere l’immobile sono considerati amministratori rispettabilile persone che si sono impegnate a riutilizzare questo spazio per sviluppare indipendenza sociale, eseguendo un minimo di manutenzioni, tagliando erbacce, pulendolo e salvaguardandolo dall’abbandono, sono considerate dei delinquenti. Già un paio di anni fa l’amministrazione comunale aveva abbozzato un progetto di riutilizzo dell‘area per la costruzione di 9 minialloggi per donne in difficoltà, che dovevano essere realizzati e gestiti dall’associazione Ruah (recentemente indagata per truffa a danno dello Stato!) che sembra avesse da investire 1,5 milioni di Euro!?? Finora però di concessioni edilizie e d’inizio dei lavori nessuno ne aveva mai dato notizia. Oggi invece sono stati emessi da un giudice 13 procedimenti penali verso presunti occupanti; di cosa? di uno stabile abbandonato? a chi avrebbero sottratto il bene? Se il Comune voleva e vuole realmente ristrutturare, bastava e basta comunicarlo, lasciando un paio di mesi per sgomberare le varie suppellettili non di sua proprietà. Solo dopo si potrebbe parlare di occupazione abusiva con sottrazione del bene… Sintomo ulteriore di un mondo che va al contrario, ci tocca leggere dichiarazioni di esponenti dell’opposizione che inneggiano alla legalità, quando il loro partito è stato condannato per sottrazione di 49 milioni di € di fondi pubblici, per non parlare delle innumerevoli indagini giudiziarie che coinvolgono praticamente tutti i partiti politici parlamentari, il cui più grande impegno, riteniamo, sia quello di occupare poltrone per percepire lauti stipendi, rispetto al poco lavoro reale che svolgono Usare spazi lasciati inutilizzati non può essere un reato; le tante energie spese per bloccare l’uso della Cascina consigliamo di rivolgerle altrove: scoprire per esempio i nazifascisti che almeno 3 volte sono entrati nello stabile imbrattandolo di minacce, danneggiandolo ed allagandolo oppure scoprire coloro che hanno quasi assassinato nel 1996 dei giovani che riutilizzavano temporaneamente uno stabile abbandonato di via Legrenzi; perseguire le malversazioni… Siamo i primi ad augurarci che i 9 alloggi siano pronti e assegnati entro la fine del prossimo anno, anche se, come abbiamo già scrittoriteniamo che in città vi siano spazi migliori da adeguare allo scopo, con minore spesa. Cittadini! Non fatevi condizionare da tante scemenze scritte da pennivendoli e politici che sono solo bravi a buttarla in caciara per camuffare il loro odio politico e le loro pratiche per la creazione di asservimento clientelare. I beni pubblici devono servire all’autonomia del corpo sociale, non alla sua sottomissione o peggio all’affarismo dei  politicanti e dei loro cortigiani.

 Spazio Anarchico Underground

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Ricordando Gaetano Bresci, contro ogni corona…

In un’epoca di Corona virus…

noi, contro tutte le corone, i regimi, le chiese, le associazioni, gli organismi e le persone autoritarie!

Ricordando Gaetano Bresci, a 120 anni dall’eliminazione di un re italiano assassino, ci troviamo per una pizzata conviviale alla pizzeria Alba di Lonno, mercoledì 29 luglio 2020 alle ore 20.

Pizza, vino (offerto dalla pizzeria), caffè: 15 € con sottoscrizione.

Birre, liquori, dolci, ognuno se li paga a parte.

Viva la libertà ed il pensiero libertario!

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Epidemia? Strage di stato!

Volentieri diffondiamo il testo elaborato dalla Federazione Anarchica Torinese che ci sembra una lucida analisi della situazione attuale.

§

I carri funebri sono in fila di fronte al cimitero di Bergamo. Quest’immagine, più di tante altre, ci mostra in tutta la sua crudezza la realtà. Non si può neppure lasciare un fiore. Non li hanno neppure potuti accompagnare verso la fine. Sono morti soli, lucidi, affogando lentamente.

Dalle finestre, ad ore stabilite, la gente grida, canta, batte le stoviglie e si riunisce in uno spirito nazionalista evocato da politici e media. “Tutto andrà bene. Ce la faremo”.

Il governo con editti che si sono susseguiti a ritmo frenetico ha sospeso il dibattito, persino il flebile confronto democratico, persino il rito esausto della democrazia rappresentativa e ci ha arruolati tutti. Chi non obbedisce è un untore, un criminale, un folle.

Intendiamoci. Ciascuno di noi è responsabile dei propri atti. Noi anarchici lo sappiamo bene: per noi la responsabilità individuale del proprio agire è il perno di una società di liber* ed eguali.

Avere cura dei più deboli, degli anziani, di chi, più degli altri, rischia la vita è un dovere che sentiamo con grande forza. Sempre. Oggi più che mai.

Un dovere altrettanto forte è quello di dire la verità, quella verità, che chiusi nelle case di fronte alla TV, non filtra mai. Eppure è, in buona parte, sotto gli occhi di tutti.

Chi cerca una verità nascosta, un oscuro complotto ordito dal proprio cattivo preferito, chiude gli occhi di fronte alla realtà, perché chi li apre si batte per cambiare un ordine del mondo ingiusto, violento, liberticida, assassino.

Ogni giorno, anche oggi, mentre la gente si ammala e muore, il governo italiano spreca 70 milioni di euro in spese militari. Con i 70 milioni spesi in uno solo dei 366 giorni di quest’anno bisestile si potrebbero costruire ed attrezzare sei nuovi ospedali e resterebbe qualche spicciolo per mascherine, laboratori analisi, tamponi per fare un vero screening. Un respiratore costa 4.000 mila euro. Quindi si potrebbero comprare 17.500 respiratori al giorno: molti di più di quelli che servirebbero ora.

In questi anni tutti i governi che si sono succeduti hanno tagliato costantemente la spesa per la sanità, per la prevenzione, per la vita di noi tutti. Lo scorso anno, secondo le statistiche, per la prima volta le aspettative di vita si sono ridotte. Tanti non hanno i soldi per pagare le medicine, i ticket per le visite e le prestazioni specialistiche, perché devono pagare il fitto, il cibo, i trasporti.

Hanno chiuso i piccoli ospedali, ridotto il numero di medici e infermieri, tagliato i posti letto, obbligato i lavoratori della sanità a fare straordinari, per sopperire ai tanti buchi.

Oggi, con l’epidemia, non ci sono più code agli sportelli, non ci sono più liste di attesa di mesi ed anni per un’indagine diagnostica: hanno cancellato le visite e gli esami. Li faremo quando passerà l’epidemia. Quanta gente si ammalerà e morirà di tumori diagnosticabili e curabili, quanta gente vedrà peggiorare le proprie patologie perché hanno messo in quarantena quello che restava della sanità pubblica? Intanto le cliniche e gli ambulatori privati fanno qualche mossa pubblicitaria e moltiplicano gli affari, perché i ricchi non restano mai senza cure.

Per questo il governo ci vuole ai balconi a cantare: “Siam pronti alla morte. L’Italia chiamò”. Ci vogliono zitti e ubbidienti come bravi soldati, carne da macello, sacrificabile. Dopo, chi resta sarà immune e più forte. Sino alla prossima pandemia.

Per questo dai nostri balconi, sui muri delle città, nelle code per la spesa, diciamo a voce alta, nonostante la mascherina, che siamo di fronte ad una strage di Stato. Quanti morti si sarebbero potuti evitare se i governi di questi anni avessero fatto scelte di tutela della nostra salute?

Non si è trattato di un errore ma di una scelta criminale.

Gli infettivologi negli anni hanno avvertito del rischio che correvamo, che una pandemia grave era possibile. Sono rimaste voci nel deserto.

La logica del profitto non consente cedimenti. Quando tutto sarà finito le industrie farmaceutiche che non investono in prevenzione faranno affari. Lucreranno con i medicinali scoperti dai tanti ricercatori che lavorano per la comunità e non per arricchire chi è già ricco.

Ci avevano abituati a credere di essere immuni alle pestilenze che affliggono i poveri, quelli che non hanno mezzi per difendersi, quelli che non hanno neppure accesso all’acqua potabile. Dengue, ebola, malaria, tubercolosi erano le malattie dei poveri, delle popolazioni “arretrate”, “sottosviluppate”.

Poi, un giorno, il virus si è imbarcato in business class e ha raggiunto il cuore economico dell’Italia. E niente è più stato come prima.

Non subito però. Media, esperti, governo ci hanno raccontato che la malattia uccide solo gli anziani, i malati, quelli che hanno anche altre patologie. Niente di nuovo. È un fatto normale: non serve una laurea in medicina per saperlo.

Così tutti gli altri hanno pensato che alla peggio avrebbero fatto un’influenza in più. Quest’informazione criminale ha riempito le piazze, gli aperitivi, le feste. Non per questo viene meno la responsabilità individuale, che passa anche dalla capacità di informarsi e capire, ma toglie un pizzico di quell’aura di santità che il governo sta cercando di indossare, per uscire indenne dalla crisi. E chissà? Magari anche più forte.

Ci raccontano che la nostra casa è l’unico posto sicuro. Non è vero. I lavoratori che ogni giorno devono uscire per andare in fabbrica, senza nessuna vera protezione, nonostante i contentini offerti da Confindustria ai sindacati di stato, tornano ogni giorno a casa. Lì ci sono parenti anziani, bambini, persone deboli.

Solo una piccola parte di chi esce per fare la spesa o prendere un po’ d’aria ha delle protezioni: maschere, guanti, disinfettanti non sono disponibili neppure negli ospedali.

Il governo sostiene che le protezioni non servono se si è sani: è una menzogna. Quello che ci dicono sulla diffusione del virus lo smentisce in modo chiaro. La verità è un’altra: a due mesi dall’inizio dell’epidemia in Italia il governo non ha acquistato e distribuito le protezioni indispensabili per bloccare la diffusione della malattia.

Costano troppo. In Piemonte i medici di base parlano al telefono alle persone che hanno la febbre, la tosse, il mal di gola, invitandoli a prendere antipiretici e a restare a casa per cinque giorni. Se peggiorano andranno poi in ospedale. A nessuno viene fatto il tampone. Chi vive con questi malati si trova in trappola: non può lasciare solo chi soffre ed ha bisogno di assistenza, ma rischia di contagiarsi a sua volta se l’affezione respiratoria fosse dovuta a coronavirus. Quanti si sono infettati senza saperlo e hanno poi diffuso la malattia ad altri, uscendo senza protezioni?

Gli arresti domiciliari non ci salveranno dall’epidemia. Possono contribuire a rallentare la diffusione del virus, non a fermarla.

L’epidemia diventa occasione per imporre condizioni di lavoro che consentono alle aziende di spendere meno e guadagnare di più. Gli editti di Conte hanno previsto lo smart working ovunque fosse possibile. Le aziende ne approfittano per imporlo ai propri dipendenti. Si sta a casa e si lavora via internet. Il telelavoro è regolato da una legge del 2017 che prevede che le aziende possano proporlo ma non imporlo ai dipendenti. Dovrebbe quindi essere soggetto a un accordo che dia ai lavoratori garanzie su orario, forme di controllo, diritto alla copertura delle spese di connessione, copertura in caso di infortunio. Oggi, dopo il decreto emanato dal governo Conte per fronteggiare l’epidemia di Covid 19, le aziende possono obbligare allo smart working senza accordi né garanzie per i lavoratori, che devono anche essere grati per la possibilità di stare in casa. L’epidemia diventa quindi pretesto per l’imposizione senza resistenze di nuove forme di sfruttamento.

Per i lavoratori normati si prevedono cassa integrazione e fondi integrativi; per i precari, le partite IVA e i parasubordinati non ci saranno coperture, tranne qualche briciola. Chi non lavora non ha alcun reddito.

Chi osa criticare, chi osa raccontare verità scomode, viene minacciato, represso, messo a tacere.

Nessun media mainstream ha ripreso la denuncia degli avvocati dell’associazione infermieri, un’istituzione che non ha nulla di sovversivo. Infermiere ed infermieri sono descritti come eroi, purché si ammalino e muoiano in silenzio, senza raccontare quello che succede negli ospedali. Gli infermieri che raccontano la verità sono minacciati di licenziamento. A quelli che vengono contagiati non viene riconosciuto l’infortunio, perché l’azienda ospedaliera non sia obbligata a pagare indennizzi a chi si trova ogni giorno a lavorare senza protezioni o con protezioni del tutto insufficienti.

L’autonomia delle donne viene attaccata dalla gestione governativa dell’epidemia di Covid 19.
La cura dei bambini che restano a casa perché le scuole sono chiuse, gli anziani a rischio, i disabili ricadono sulle spalle delle donne, già investite in modo pesante dalla precarietà del lavoro.
Intanto, in sordina, nelle case trasformate in domicili coatti, si moltiplicano i femminicidi.

Nel fragoroso silenzio dei più, durante la rivolta delle carceri sono morti 15 detenuti. Sulla loro morte non è trapelato nulla, se non le veline della polizia. Alcuni, già in gravi condizioni, non sono stati portati in ospedale ma caricati sui cellulari e portati a morire in carceri lontane centinaia di chilometri. Una strage, una strage di Stato.

Gli altri sono stati deportati altrove. Le carceri scoppiano, ai reclusi non è garantita la salute e la dignità nemmeno in condizioni “normali”, sempre che sia normale rinchiudere le persone dietro le sbarre. Per salvaguardarli il governo non ha trovato di meglio che sospendere i colloqui con i parenti, mentre ogni giorno i secondini possono andare e venire. La rivolta dei reclusi è divampata di fronte al rischio concreto del diffondersi del contagio in luoghi dove il sovraffollamento è la norma. Chi ha sostenuto le lotte dei prigionieri è stato caricato e denunciato. La repressione, complici le misure contenute negli editti del governo, è stata durissima. A Torino hanno impedito anche un semplice presidio di parenti e solidali all’ingresso della prigione, schierando le truppe ad ogni accesso alle strade limitrofe al carcere delle Vallette.

I lavoratori che hanno fatto scioperi spontanei contro il rischio di contagio, sono stati a loro volta denunciati per aver violato gli editti del governo, perché manifestavano in strada per la loro salute.

Niente deve fermare la produzione, anche se si tratta di produzioni che potrebbero essere interrotte senza alcuna conseguenza per la vita di noi tutti. La logica del profitto, della produzione, viene prima di tutto.

Il governo teme che, dopo la rivolta delle carceri, si possano aprire altri fronti di lotta sociale. Da qui il controllo poliziesco ossessivo, l’impiego dell’esercito cui, per la prima volta, sono attribuite funzioni di ordine pubblico, e non di mero supporto alle varie forze di polizia. I militari diventano poliziotti: il processo di osmosi cominciato qualche decennio fa arriva a compimento. La guerra non si ferma. Missioni militari, esercitazioni, poligoni di tiro vanno a pieno ritmo. È la guerra ai poveri al tempo del Covid 19.

Il governo ha vietato ogni forma di manifestazione pubblica e ogni riunione politica.

Rischiare la vita per il padrone è un dovere sociale, cultura e azione politica sono considerate attività criminali.

Si tratta del tentativo, neppure troppo velato, per impedire ogni forma di confronto, discussione, lotta, costruzione di reti solidali che consentano davvero di dare sostegno a chi è maggiormente in difficoltà.

La democrazia ha i piedi di argilla. L’illusione democratica si è sciolta come neve al sole di fronte all’epidemia. Si accettano con entusiasmo provvedimenti ex cathedra del presidente del consiglio: nessun dibattito, nessun passaggio dal tempio della democrazia rappresentativa, ma semplice editto. Chi non lo rispetta è un untore, un assassino, un criminale, e non merita pietà.
In questo modo i veri responsabili, quelli che tagliano la sanità e moltiplicano la spesa militare, quelli che non garantiscono le mascherine neppure agli infermieri, quelli che militarizzano tutto ma non fanno i tamponi perché “costano 100 euro” si firmano l’assoluzione con il plauso dei prigionieri della paura.

La paura è umana. Non dobbiamo vergognarcene, ma non dobbiamo neppure permettere agli imprenditori politici della paura di usarla per ottenere il consenso a politiche criminali.

Noi ci siamo battuti per impedire che chiudessero i piccoli ospedali, che spazzassero via presìdi sanitari preziosi per tutti. Eravamo in piazza a fianco del lavoratori del Valdese, dell’Oftalmico, del Maria Adelaide, dell’ospedale di Susa e di tanti altri angoli della nostra provincia.

In novembre eravamo in piazza per contestare la mostra mercato dell’industria aerospaziale di guerra. Noi lottiamo ogni giorno contro il militarismo e le spese di guerra. Noi siamo sui sentieri della lotta No Tav, perché con un metro di Tav si pagano 1000 ore di terapia intensiva.

Noi oggi siamo a fianco di chi non vuole morire in galera, dei lavoratori caricati e denunciati, perché protestano contro la mancanza di tutele contro la diffusione del virus, con gli infermieri e le infermiere che lavorano senza essere protetti e rischiano il posto perché raccontano quello che succede negli ospedali.

Oggi tanta parte dei movimenti di opposizione politica e sociale tace, incapace di reagire, schiacciata dalla pressione morale, che criminalizza chi non accetta senza discutere la situazione di crescente pericolo innescata dalle scelte governative di ieri e di oggi.
Limitare gli spostamenti e i contatti è ragionevole, ma è ancor più ragionevole lottare per poterlo fare in sicurezza. Dobbiamo trovare i luoghi e i modi per lottare contro la violenza di chi ci imprigiona, perché non sa e non vuole tutelarci.
Da anarchici sappiamo che la libertà, la solidarietà, l’uguaglianza nelle nostre mille diversità si ottiene con la lotta, non la si delega a nessuno e men che meno ad un governo, la cui unica etica è il mantenimento delle poltrone.

No. Noi non siamo “pronti alla morte”. Non vogliamo morire e non vogliamo che nessuno si ammali e muoia. Non ci facciamo arruolare nella fanteria destinata al massacro silente. Siamo disertori, ribelli, partigiani.

Pretendiamo che le carceri siano svuotate, che chi non ha casa ne abbia una, che la spesa di guerra sia cancellata, che a tutti siano garantiti gli esami clinici, che ciascuno abbia i mezzi per proteggere se stesso e gli altri dall’epidemia.

Non vogliamo che sopravvivano solo i più forti, noi vogliamo che anche chi ha vissuto tanto, possa continuare a farlo.

Vogliamo che chi sta male possa avere accanto qualcuno che lo ama e possa confortarlo: con due cacciabombardieri F35 in meno potremo avere tute e ogni protezione necessaria perché nessuno muoia più da solo.

Tutto andrà bene? Ce la faremo? Dipende da ciascuno di noi.

I compagni e le compagne della Federazione Anarchca Torinese, riuniti in assemblea il 15 marzo 2020.

Dedichiamo questo nostro scritto alla memoria di Ennio Carbone, un anarchico, un medico che ha dedicato la propria vita alla ricerca scientifica cercando di sottrarla alla voraci mani dell’industria che finanzia solo quello che rende.

Lui, in tempi non sospetti, ci parlò del rischio di una pandemia come quella che viviamo oggi.

La sua voce, la sua esperienza, ci mancano in questi giorni difficili.

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“Che non ci sono poteri buoni. Il pensiero (anche) anarchico di Fabrizio De André”

ATTENZIONE: EVENTO RIMANDATO A DATA DA DEFINIRSI

Sabato 14 Marzo 2020 ore 21.00

Auditorium A.Gramsci

Via Furietti 21

Q.re Malpensata (Bergamo)

Presentazione, con il curatore Paolo Finzi, del libro: “Che non ci sono poteri buoni. il pensiero (anche) anarchico di Fabrizio De André”.

Organizza: Centro Studi “Pier Carlo Masini” – Bergamo

Dalla presentazione di A Rivista anarchica:

Il nostro rapporto con Fabrizio De André è stato molto intenso, davvero “speciale”.
“A” è sempre stata anche la sua rivista, quella che a volte teneva piegata in tasca, con la testata ben visibile, durante i suoi concerti.
Quella che leggeva e poi ci telefonava per dirci che cosa gli piaceva e che cosa no.
Quella alla quale tante volte ha fatto pervenire il suo sostegno economico.

Dopo la sua morte abbiamo voluto continuare il sodalizio tra lui e “A” creando e proponendo alcune “cose” di spessore culturale per ricordare l’amico, il compagno, il pensatore, il poeta.

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Che non ci sono poteri buoni. il pensiero (anche) anarchico di Fabrizio De André

Apre il libro uno scritto di Dori sul proprio rapporto con l’anarchia. Sono poi riprodotti i testi del dossier “Signora libertà, signorina anarchia”; venti interviste realizzate da Renzo Sabatini con amici, collaboratori, “esperti” di tematiche approfondite da Fabrizio; notizie sui suoi concerti a favore degli anarchici (compresi quelli a Rimini 1975 e a Bologna 1976, di cui si sapeva poco o niente); altri scritti, testimonianze, poster, foto e disegni in parte inediti. Vi è poi la riproduzione di 25 pagine del volume L’anarchia, che Dori ci ha regalato, appartenuto proprio a Fabrizio. Ogni pagina ha sottolineature e annotazioni scritte di suo pugno, che testimoniano la meticolosità della sua lettura e anche la profondità delle sue riflessioni, con un occhio alla storia e uno all’attualità.

Scarica il volantino.

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Jugo Rock, la vita e l’amore al tempo della guerra

Domenica 12 Gennaio 2020

c/0 il circolo ARCI “Al Bafo” (Seriate, Piazzetta Bolognini)

A partire dalle ore 18,00

 

Arrigo Bernardi presenta il suo romanzo

”Jugo Rock, la vita e l’amore al tempo della guerra”

A seguire buffet di autofinanziamento a sottoscrizione.

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Estate del 1990: il protagonista, un diciottenne croato, ha appena terminato la scuola superiore. Passa il suo tempo fra musica punk e scazzottate. I genitori, preoccupati per il troppo tempo libero e per il comportamento turbolento, decidono di mandarlo a lavorare per qualche mese da uno zio in Germania. 

L’incontro con lo zio hippy e libertario e con la Germania ricca e moderna aprono la sua mente, gli consentono di vivere esperienze dal sapore diverso e di scoprire l’amore.

Viene però richiamato in patria per il servizio militare. Un anno di fatiche, umiliazioni e violenza in una Jugoslavia che a dieci anni dalla morte di Tito non è più né unita né socialista.

Durante il periodo di ferma la situazione precipita e scoppia il conflitto per l’indipendenza della Croazia dalla Federazione Jugoslava. Il ragazzo sceglierà di disertare l’esercito per tornare nella sua città e unirsi alla polizia croata.

L’autore, Arrigo Bernardi, classe 1968, vive in provincia di Treviso e lavora presso il porto di Venezia come operatore sociale. Chitarrista, giornalista ed entusiasta attivista della scena punk dai primi anni Ottanta, nel 2015 ha pubblicato il racconto “La Frontera, la mia vita con gli Argies”, in cui descrive le esperienze vissute insieme alla band argentina “Argies” nel corso dei primi quindici anni del nuovo secolo. Dal 2017 gestisce il blog “La Frontera” in cui raccoglie racconti brevi sul punk.

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21^ Fiera dell’editoria anarchica e libertaria – 20, 21 e 22 dicembre 2019

Programma

Come ogni anno, da 21 anni, torna la consueta “Anarchist Bookfair” a Bergamo.
Vi aspettiamo in Kascina Autogestita Popolare Angelica “Cocca” Casile, via Ponchia 8, Q.re Monterosso a Bergamo.
Durante la tre giorni troverete esposizione di libri e riviste anarco/libertari, letture, presentazioni, video, cibo, bevande e convivialità.

Venerdì 20 Dicembre 2019

ore 18.00 Apertura dell’iniziativa.

ore 20.00 Apericena a sottoscrizione

ore 22.00 Concerto punk “live in K.A.P.” con Jackie Brown e THT, a seguire DJ set by Cohnny Jash

Sabato 21 Dicembre 2019

ore 15.00 Apertura

dalle 18.00 – Gabriele Fuga presenta”: “Pinelli, la finestra è ancora aperta” Ed. Colibrì.

“Nel 1996 dagli archivi di via Appia si scopre che almeno altre 14 persone facenti capo al ministero dell’interno e mai sentite dai magistrati si aggiravano in quel quarto piano della questura di Milano la notte in cui Pinelli morì”.

ore 20.00 Cena vegetariana a sottoscrizione

ore 21.00 Sabato 21 ore 21.00 Michela Zucca presenta: “FUOCHI NELLE ALPI-Ritualità, sussistenza, resistenza, identità”.

La storica ed antropologa Michela Zucca presenta la sua pubblicazione “Fuochi nelle Alpi”, inserita nell’ultimo testo di antropologia dell’Università della Corsica ed interamente dedicata al fuoco.
Dai Brandopfeplatz (i luoghi per i fuochi rituali in tutta l’area celtico germanica), alle divinità del fuoco sacro, dalle Vestali a Santa Brigida, fino ad arrivare ai giorni nostri coi falò delle feste alpine.
Il fuoco come tecnologia condivisa di origine popolare: per disboscare interi versanti ed impiantare il castagno; il ciclo della legna e del riscaldamento, gli impianti di essicazione, i forni per il pane, il ciclo del ferro e del maglio, le miniere e la padronanza degli esplosivi… utile arma di lotta e resistenza delle popolazioni di montagna, spesso combattuta a suon di dinamite.

Domenica 22 Dicembre 2019

ore 14.00 Apertura

ore 15.00 Video sulla strage di Piazza Fontana e l’assassinio di Giuseppe “Pino” Pinelli

ore 19.30 Cena vegetariana a sottoscrizione

 

Se passate a trovarci, non parcheggiate in via Ponchia ma lasciate la macchina in via L. Da Vinci e fate la salita a piedi! Evitiamo disagi inutili al quartiere.

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Terra e Libertà / Critical Land & Wine

6, 7 e 8 dicembre 2019

C/o Kascina Autogestita Popolare “Cocca Casile”
Via Ponchia, n° 8
Bergamo, Q. re Monterosso

 

Programma

Venerdì 6 dicembre 2019

ore 18.00 apertura

ore 20.00 apericena

ore 21.00 presentazione iniziativa “Terra e Libertà”

ore 21.30 Concerto live con “Zu’RINO Band”, tributo a Rino Gaetano

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Sabato 7 dicembre 2019

ore 15.00 apertura con fiera delle autoproduzioni vinicole e agricole

dalle 15.30 alle 19.30 dibattito su sfruttamento del territorio e nuove forme di lotta ecologica

Interverranno:

Comitati contro l’autostrada Bergamo-Treviglio
Per la tutela del Parco Ovest di Bergamo
Extinction rebellion

ore 16.30 spazio bambin*
Un momento con thè: merenda con torte e infusi

ore 20.00 cena

ore 21.00 esperienza di “Laboratorio di Permacultura”

 Aggiornamento dalle terre colpite dalla Xylella

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Domenica 8 dicembre 2019

ore 10.00 apertura con fiera delle autoproduzioni

ore 12.00 brindisi in ricordo di Luigi Veronelli

ore 13.00 pranzo

ore 14.00 Concerto live, pizzica e taranta, con i Morondanga

A seguire, sonate folk con i SaltaFosso.

ore 16.00 spazio bambin* proiezione del cartone animato “Pom Poko”

dalle 15.00 alle 19.00 presentazione del libro: “Nuove resistenze agricole-Genuino Clandestino in viaggio tra le agri-culture resistenti ai tempi delle grandi opere”

Dibattiti con:

  • Realtà agricole di Parma e Mercatiniera (prossimi organizzatori dell’incontro nazionale di Genuino Clandestino)
  • Urupia con le esperienze della Comune Salentina
  • Contadine e contadini di Mondeggi Fattoria Senza Padroni (Fi)

Approfondimenti su: Agricoltura e Alimentazione consapevole contro il degrado e la devastazione ambientale

ore 21.00 proiezione del documentario “Langhe Doc – Storie di eretici nell’Italia dei capannoni”

Scarica il flyer dell’iniziativa.

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La nave dei folli: Alessio Lega ricorda Ivan Della Mea

Venerdì 27 settembre, c/o il Circolino Malpensata di Bergamo, Alessio Lega, storico, musicologo e cantautore, ricorderà la figura di Ivan Della Mea.

Anche lo Spazio Anarchico “Underground” partecipa all’iniziativa, con la presentazione, a partire dalle ore 18,00, del libro di Alessio, “La nave dei folli. Vita e canti di Ivan Della Mea”, la prima biografia del grande cantautore, dalla difficile infanzia alla maturazione nella Milano dei Navigli, di Brera, delle lotte operaie degli anni Sessanta e Settanta, passando per il Nuovo Canzoniere italiano, i Dischi del Sole, il revival del folk e la ricerca etnomusicale.

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Ricordando Gaetano Bresci

Nel maggio del 1898, a Milano, circa trecento persone vennero trucidate a cannonate dal generale Bava Beccaris, in occasione dei moti popolari provocati dall’aumento del prezzo della farina e del pane.

Per tale sanguinosa repressione Bava Beccaris ricevette la Croce di grande ufficiale dell’Ordine di Savoia direttamente da Umberto I (“per rimeritare il grande servizio che Ella rese alle istituzioni ed alla civiltà e perché Le attesti col mio affetto la riconoscenza mia e della Patria”) e venne nominato Senatore del Regno.

Il 29 luglio 1900 l’anarchico Gaetano Bresci, ritornato dagli Stati Uniti, giustiziò Umberto I, sparandogli tre colpi di pistola presso la Villa Reale di Monza.

Condannato all’ergastolo, i carcerieri lo “suicidarono” nella prigione di Santo Stefano nell’isola di Ventotene il 22 Maggio 1901.

Anche quest’anno ci ritroveremo insieme per ricordare e commemorare Gaetano Bresci, “che raccogliendo nel suo cuore le lacrime e l’odio delle madri, delle spose e dei figli dei massacrati dal regio piombo nelle stragi di Sicilia e di Milano, insegnò ai codardi come si puniscono gli assassini del popolo”.

Scarica il volantino: Lonno_Bresci_2019

 

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Elio Ziglioli e la sua epoca

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