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Nel CIE di Via Corelli anche i bergamaschi reclusi in sciopero della fame

Dopo i tentativi di rivolta e di fuga dei mesi scorsi in vari Centri di identificazione ed espulsione, la protesta nei padiglioni milanesi.

Da due settimane un gruppo di 18 persone sta portando avanti lo sciopero della fame nella sezione maschile del Centro di identificazione ed espulsione di via Corelli a Milano. Tra questi c’è Omar Diop, senegalese che prima di finire nel Cie a febbraio ha vissuto per 17 anni in provincia di Bergamo. «Prima a Seriate, poi a Pradalunga – dice Diop – e ho sempre lavorato con contratti a tempo indeterminato. Ho iniziato in un’azienda di Curnasco, poi in una ditta di elettronica di Zanica. In questi anni in Bergamasca mi sono sposato e ho comprato casa a Pradalunga».
A interrompere la vita da “regolare”di Diop è un controllo di polizia: fermato da una pattuglia il senegalese viene arrestato per possesso di 8 grammi di hashish. «Mi hanno dato dieci mesi di carcere -dice – e mentre ero dentro mi è scaduto il permesso di soggiorno. Ho scontato la pena e quando sono uscito sono stato invitato a verificare la mia posizione in Questura a Bergamo. Io sono andato lì convinto di regolarizzare la mia situazione e invece mi hanno trasferito qui in via Corelli». Diop non è l’unico bergamasco adottivo in via Corelli. «Qui – spiega – c’è anche un Nigeriano che è stato rinchiuso nonostante avesse ottenuto asilo politico». Ora Diop è costretto a vivere un’esperienza ancora più dura del carcere, non solo perché rischia seriamente di venire espulso e di perdere tutto quello che ha costruito in Italia, ma anche per le condizioni in cui si trovano gli “ospiti”di via Corelli. «Viviamo nella sporcizia, ammucchiati in poco spazio – spiega il senegalese -. Per questo stiamo facendo lo sciopero della fame».
Degrado e tensione
La situazione nel Cie, così come la descrivono le persone detenute in via Corelli, è al limite. Gli immigrati parlano di pulizie fatte di rado e sommariamente, servizi igienici fetenti e sovraffollamento nelle camere da letto. «Stiamo in quattro – spiega Diop – in celle di quattro metri quadrati. Non è umano, sembriamo animali». Lo sciopero della fame è una protesta anche contro la legge che prevede la permanenza di sei mesi nel centro. «Sei mesi qui per essere identificato? Ma se è quasi vent ’anni che rinnovo il permesso di soggiorno, sanno benissimo chi sono io» dice Diop. I lunghi periodi di permanenza ai quali i clandestini sono costretti provocano anche tensione e tentativi di rivolte nei Cie (a Milano è successo a novembre). Non solo, gli stessi padiglioni di via Corelli sono stati oggetto di attacchi dall’esterno. «La sezione dei transessuali – dice Diop – è stata colpita pochi giorni fa da due molotov lanciate dalla tangenziale che passa qui vicino».
Gli immigrati protestano sperando che cambi la legge o, per lo meno, migliorino le condizioni nel Cie. Il senegalese-bergamasco spera nel suo legale: «Mi toccherà spendere dei soldi in avvocati ma sono convinto che un Tribunale mi darà ragione e potrò andare a casa mia, facendo anche tornare mia moglie dal Senegal. Anche perché il mio datore di lavoro è disponibile a riassumermi».

Di Simone Bianco – Fonte DNews Bergamo 15/03/2010

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